Riportiamo un'intervista a Lidia Fersuoch, presidente della sezione al tempo del restuaro del Fondaco…
In un interessante articolo sull’inserto domenicale del New York Times (segnalato sulla pagina facebook “Voglio Venezia a numero chiuso”) l’autrice Elizabeth Becker esamina i casi, ormai numerosissimi, di città e aree che si sentono minacciate da un eccesso di turismo. L’articolo è titolato “La rivolta contro il turismo” e Venezia vi è menzionata solo per inciso, come esempio da evitare citato dal sindaco di Barcellona: “La mia più forte preoccupazione, dice la signora Colau, è che Barcellona diventi un’altra Venezia”. Oltre a Barcellona l’articolo menziona i casi di Copenhagen, Bordeaux, New Orleans, del Bhutan e delle spiagge della Cambogia. La parte forse più interessante è quella che riferisce la presa di coscienza del problema da parte di molte autorità locali, evidentemente più avanzate di quelle veneziane. Eccovi la traduzione di alcuni passi riguardanti rispettivamente la Danimarca e la Francia:
Mentre passiamo sotto un ponte durante il giro dei canali cittadini, la guida ci annuncia che stiamo entrando in una zona di silenzio. “Questa è un’area residenziale”, dice, indicando i poggioli sui quali i danesi stanno prendendo il caffè o un bicchiere di vino. E continua: “Riprenderò il microfono tra cinque minuti”.
La Danimarca è una delle principali sedi di centri congressuali del mondo e un punto di sosta delle crociere transatlantiche. L’anno scorso nove milioni di turisti hanno visitato la città, sull’onda dei polizieschi e noir televisivi di moda e attratti dalla buona cucina. Un record per la Danimarca, che non ha più di sei milioni di abitanti. Le “zone di silenzio” sono emblematiche della filosofia dei danesi riguardo al turismo. I visitatori devono mescolarsi con la vita locale, non viceversa. I danesi hanno proibito l’acquisto di seconde case sulla costa da parte di stranieri, progettato la loro famosa rete di piste ciclabili in modo da accogliere i turisti, e preso misure rigorose per impedire che bar e ristoranti si impadroniscano della città. “La questione” dice Henrik Thierlein, portavoce dell’ufficio del turismo, “è questa: come avvantaggiarsi dall’aumento dei turisti senza venire sopraffatti dal turismo di massa?”
Ed ecco alcuni passi su Parigi:
Come Copenhagen, anche Parigi usa regole e limitazioni per impedire che turismo vada fuori controllo. E governa i flussi turistici con la serietà che si riserverebbe a un’operazione militare.
La torre Eiffel, con sette milioni di turisti l’anno, è il luogo più visitato del mondo tra quelli a pagamento. I biglietti sono limitati e scaglionati ogni trenta minuti. I visitatori si muovono sotto lo sguardo discreto di guardiani. Le aiole attorno alla torre sono curate da una squadra di 38 giardinieri a tempo pieno. La sosta è vietata; i venditori ambulanti sono regolamentati rigorosamente. Restrizioni simili valgono per altri luoghi turistici, come i giardini di Claude Monet nella vicina Giverny. Parigi è prima di tutto per i parigini.
Ecco una frase che ci piacerebbe veder adottata dai nostri amministratori: Venezia è prima di tutto per i veneziani. Forse tra un po’ ci arriveremo, se anche altre città turistiche del mondo daranno l’esempio.
Leggete l’articolo sul sito del New York Times.