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(Immagine: La Navigator of the Seas ormeggiata a Cozumel. Nel video relativo, girato nel gennaio 2015,  la nave gareggia con un’altra nel suonare le sirene. Molto interessante la scena della partenza).

Nell’aprile  del 2013 è uscito negli Stati Uniti un libro che ha fatto molto scalpore. Il suo titolo era “Overbooked” e riguardava lo sviluppo del turismo su tutto il pianeta. Il fenomeno è in fortissima crescita e si comincia a poterne valutare l’impatto, sia positivo sia negativo, sui vari Paesi nei quali si sviluppa. Il libro inaugurava un nuovo approccio agli studi sull’economia e la sociologia del turismo. Citiamo qui dalla recensione che ne fece il New York Times (19 aprile 2013):  “Becker, già corrispondente del New York Times, ha attraversato tutto il globo, dalle spiagge dello Sri Lanka alle riserve di caccia dell’Africa sub-sahariana, dai vigneti della Francia ai parchi nazionali americani, misurando l’impatto dell’industria turistica. E mentre trova un gran numero di ottimi esempi di saggia e responsabile gestione da parte degli operatori, in altri casi cupidigia e miopia hanno rovinato degli ambienti prima incontaminati, esacerbato la miseria umana e distrutto la spontaneità che un tempo faceva del viaggio una vera avventura.”  Noi veneziani siamo particolarmente coinvolti in questo fenomeno e sottoposti alle sue conseguenze. Per questo ci è sembrato interessante ritagliare alcuni brevi passaggi dal libro e, con il permesso dell’autrice, proporli agli amici di Italia Nostra in questa sede. Saranno in tutto una decina di passaggi, che includeranno un esempio di buona gestione (non molto lontano da noi) e uno di “miopia e cupidigia”. Cominciamo da alcune pagine tra quelle che Becker dedica alle grandi navi da crociera (nel libro è il capitolo 5, dal titolo: Crociere: destinazione il Non Luogo).

Crociere: Destinazione il Non Luogo

OVERBOOKED © Elizabeth Becker (Simon & Schuster, New York). Reprinted by permission of the author.

1 –  L’arrivo a bordo (pp. 125, 128)

“Benvenuti alla vacanza d’una vita.”

“Fate un sorriso, questa sarà la vacanza d’una vita!”

Avevamo preso l’aereo dalla gelida Washington per Miami verso metà dicembre, l’alta stagione delle crociere ai Caraibi. Prima di arrivare alla cabina avevamo ricevuto le congratulazioni di cinque diversi camerieri e membri dell’equipaggio che si rallegravano con noi per esserci imbarcati nella vacanza d’una vita. Prima ancora di disfare le valige ci sembrava quasi di aver vinto alla lotteria.

Ero con mio marito Bill e quella era la nostra prima crociera. Eravamo impazienti e diffidenti allo stesso tempo.  Avevamo sentito una quantità di cose diverse sulle crociere, da “Si mangia benissimo, ingrasserete malgrado tutti i propositi” fino a “Attenti alle resse di notte, quando tutti hanno bevuto un po’ troppo”.

C’eravamo imbarcati da un molo con la scritta Royal Caribbean a Miami, base principale di una rete di porti crocieristici che abbraccia in lungo e in largo le due coste del Paese ed è invisibile per chi non ha mai fatto una vacanza in crociera.  La Florida ha tre dei porti maggiori, tutti costruiti con fondi pubblici come gli aeroporti. Di fronte a noi si ergeva una nave colossale, The Navigator of the Seas. Pesava il doppio del Titanic ed era lunga come tre campi da calcio. Torreggiava sopra di noi come un piccolo grattacielo.

Prendendo quella crociera di cinque giorni giù per la costa orientale del Messico fino al Belize speravo di capire perché le vacanze in crociera fossero diventate uno dei settori dell’industria del turismo che stavano crescendo più in fretta e producendo i maggiori profitti. La genialità del marketing adottato divenne evidente al passaggio “sicurezza,” dove un addetto ci fece una foto per il Sea Pass officiale. Era un tesserino d’identificazione che serviva da chiave per la cabina, da carta di credito a bordo della nave e da documento d’identità per le visite ai porti stranieri.

Su per la passerella arrivammo al ponte dove ci accolse una frizzante aria marina. Nel sole del pomeriggio una banda musicale suonava un reggae non invadente; sul ponte tirato a lucido alcuni bambini ballavano assieme ai genitori. I più grandicelli stavano ispezionando la discoteca e  le sale di videogiochi. I ventenni e oltre si erano già istallati al bar della piscina. La nave aveva una capienza di 3.200 posti, quasi tutti occupati.

La cabina fu una buona sorpresa: un’area di soggiorno con un divano, un minuscolo bagno con tazza e doccia  e un’area notte con un letto matrimoniale. Una porta scorrevole si apriva sul nostro terrazzino, minuscolo ma privato.  Veramente lussuoso per il prezzo: 1.200 dollari per entrambi,  comprensivi di cabina, pasti e di tutti gli spettacoli e le attività che riuscivamo a infilare nello spazio di cinque giorni.

Praticamente 240 dollari al giorno, che a Manhattan bastano appena per una camera d’albergo spartana. L’attrattiva di queste crociere cominciava a farsi evidente. Al tramonto, quando la nave si staccò dagli ormeggi, Bill ed io eravamo appoggiati al parapetto del terrazzino, e stavamo proprio sorridendo.

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Il giorno dopo abbiamo esplorato la nave, e poi Bill optò per un po’ di ginnastica seguita da lettura sul terrazzino con i piedi appoggiati alla ringhiera. Per il pranzo eravamo in ritardo. Ci hanno servito due camerieri, Ercan dalla Turchia e Hagar dall’India, (tutti i camerieri e gli addetti alle pulizie portano degli spilli con il nome e la nazionalità).  Presto ci hanno informato di essere entrambi laureati, uno proprio in turismo. Hagar, una ragazza, vive ancora con i genitori in India e ci ha detto di considerare il lavoro sulla nave come un’avventura. “Dopo un mese a casa mi annoio”, ha aggiunto.

Il cibo è arrivato e la conversazione si è leggermente spostata. Ercan ci ha detto che il suo contratto di lavoro di sette mesi sulla nave prevedeva uno stipendio di 50 dollari al mese e nessun giorno libero. Abbiamo pensato di aver capito male.

“Vuoi dire cinquanta dollari a settimana,” dicemmo, scambiandoci un’occhiata, come a chiederci:  “Ma che razza di storia ci racconta questo”.

No, ha risposto, voleva proprio dire 50 dollari al mese.  Hagar confermò. La loro giornata di lavoro durava normalmente dodici ore. Durante i mesi dell’imbarco lasciavano la nave raramente, e anche allora solo per poche ore. In sostanza dovevano contare sulle mance dei passeggeri per i loro guadagni, e questo spiegava il corso che aveva preso la nostra conversazione. Cercando di non sembrare troppo scandalizzata dissi che comunque avevano vitto e alloggio gratuiti, se non sbagliavo. Certo, risposero, vitto e alloggio, ma non i biglietti di andata e ritorno da casa alla nave; quelli dovevano pagarseli.

Spiegarono che dovevano guadagnare 1.500 dollari al mese di mance per coprire le spese e far avanzare qualcosa. Quello che volevano dirci era chiaro: il vero salario lo davano i passeggeri. Ancora dubbiosa, andai all’ufficio informazioni e chiesi alla ragazza canadese di turno quanto guadagnassero i camerieri al mese, in modo da poter lasciare una mancia corretta. “Cinquanta dollari,” rispose.

Le sole conferenze offerte sulla nave erano i  seminari di shopping.  Non c’era nulla sui nostri due Paesi di destinazione, il Messico e il Belize.  Nei seminari i due guru dello shopping, Wesley e Victoria, ci hanno detto che nei porti avremmo trovato la possibilità di acquistare prodotti di classe mondiale a prezzi speciali e hanno distribuito una piantina gratuita  con elenchi di negozi affidabili  che, hanno detto, erano stati giudicati abbastanza seri da poter inserire nella brochure la loro pubblicità. Cozumel era particolarmente rinomata per i suoi diamanti, disse Wesley, anche se i diamanti non vengono né estratti né tagliati o lavorati in Messico. Raccomandò la ditta Diamonds International quanto ai prezzi, “per infoltire il vostro guardaroba di diamanti”: era quella che aveva vinto  la nomina della compagnia di navigazione come migliore ditta per i  diamanti. Chiese chi tra il pubblico desiderasse un bracciale da tennis di diamanti e molti gridarono: “Io, io.”

“Attenetevi ai negozi sulla piantina,” disse Wesley. Se sarete così sciocchi da comprare qualcosa in un negozio che non è sulla piantina, in caso di lamentele mi troverò con le mani legate.”

(Tra qualche giorno la seconda puntata: “Il bello della  crociera).

(Nell’immagine qui sotto: Elizabeth Becker durante una conferenza in Cambogia nel febbraio 2015).

Becker Cambogia

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