La nostra Associazione più volte si è occupata di questo straordinario monumento cinquecentesco. Nel 2016…
(Immagine da Mipimworld: potenziali investitori studiano una mappa al Mipim di Cannes del 2016). Quale sia il progetto per il futuro di Venezia si vede bene, al di là delle dichiarazioni e dei proclami, dai fatti concreti. Ora il governo nazionale sta mettendo in vendita alcuni edifici e palazzi della nostra città, principalmente attraverso la Cassa Depositi e Prestiti che per varie circostanze ne è entrata in possesso. E per tutti reclamizza, alla grande fiera immobiliare del Mipim di Cannes, l’uso aberghiero: “si presta ottimamente ad essere valorizzato mediante trasformazione in una struttura ricettiva,” come si dice per uno dei beni in vendita.
Noi di Venezia svolgiamo ormai da anni il malinconico ruolo di notai che registrano la trasformazione della città in parco turistico. La causa è presto detta: le classi dirigenti e gli stessi abitanti della città non sono riusciti a produrre un credibile piano per la sopravvivenza di attività capaci di competere con quelle turistiche. Altri centri ci sono riusciti (citiamo Bordeaux e la Borgogna per fare un esempio). Idee erano state formulate da ministri e giornalisti come Bruno Visentini e Indro Montanelli, ma nessuno le ha raccolte. Altre idee vengono oggi diffuse dalla stampa locale (una fra tutte: una vera rivitalizzazione di Marghera, che trasformata in polo scientifico del futuro potrebbe salvare Venezia come ha già fatto nel secolo scorso attraverso l’industria), ma nessuna forza concreta riesce a raccoglierle e rilanciarle. Italia Nostra fa quello che può, e ha più volte presentato i propri dossier alle autorità, ma alla fine riesce solo a limitare in qualche caso i danni, come ha fatto a suon di ricorsi al Tar, con il Fontego dei Tedeschi, con Ca’ Corner della Regina, con tre palazzi di proprietà dell’Università e in vari altri casi.
Trovate qui sotto un articolo della Nuova Venezia con la lista delle tredici pregiatissime proprietà immobiliari veneziane che l’Italia cerca di vendere, a proprio eterno sconforto, per uso turistico.