skip to Main Content

(Immagine: turismo quotidiano in Riva degli Schiavoni).
 Riprendiamo la pubblicazione di qualche brano dal capitolo sulle crociere del libro “Overbooked” di Elizabeth Becker (Simon and Schuster, New York, 2013, reprinted by permission of the author).
I passi che seguono (p. 151, 154-5) sembrano indicare, se applicabili anche a Venezia, che del famoso “indotto” generato dalle delle compagnie di crociera ben poco rimane nelle mani di operatori, negozianti e artigiani. Le compagnie infatti tendono a “vendere” i  loro passeggeri agli operatori locali in cambio di una buona parte dei ricavi.

Le compagnie di crociera applicano alle escursioni sostanzialmente gli stessi criteri che applicano ai diamanti e alle aste di opere d’arte. La nave vende le escursioni ancora a bordo, offrendo le sue garanzie e mettendo in guardia contro le escursioni della concorrenza.  Poi la nave riceve una buona commissione su ogni biglietto venduto. In media le compagnie ricevono dalle agenzie locali  fino al 50 per cento del prezzo dell’escursione. In un anno la Royal Caribbean ha guadagnato un terzo dei suoi utili dalla vendita di escursioni.
“Escursioni” è un nome piuttosto inesatto. Esse sono progettare per durare un numero preciso di ore. In una fermata ai Caraibi si può scegliere tra un giro in autobus per le spiagge e i siti storici dell’isola  o andare a nuotare tra le barriere coralline. Nei porti vicini a città come Firenze e Roma, i passeggeri sono trasportati in autobus fino alle città per visitare un museo o per un giro a piedi, sempre con le loro guide e con il tempo per mangiare e fare shopping prima di ritornare a bordo.

Una volta che si sono aperti al turismo di massa portato dalle navi da crociera, i centri come Cozumel diventano dei semplici villaggi turistici. Porti, città, spiagge, passeggiate sono ora visti come “destinazioni” e presentati come piacevoli se i passeggeri possono passarvi cinque ore e ritenere di aver vissuto un’”esperienza” memorabile, catturata in fotografie e ricordata da oggetti acquistati. Lo scopo delle compagnie di crociera è portare i turisti dentro e fuori dai vari luoghi con la massima efficienza e il massimo profitto, servendosi di autobus e agenzie di viaggio locali (a Venezia saranno i taxi e i lancioni, nota del traduttore). Per esempio, la nostra crociera offriva cinquantasette opzioni di escursioni a Cozumel,  dal costo medio tra i 50 e i 150 dollari a persona, tutti pagabili alla nave. Gli esercizi locali che sono sulla lista pagano una percentuale dei loro incassi alle navi da crociera, spesso fino al 50 per cento.
“Nessuno stato caraibico è sopravvissuto intatto all’arrivo delle navi da crociera.  Penso che quello sia il peggiore dei danni che provocano, inondare i porti e le spiagge con folle di persone,”  dice Jonathan Tourtellot, direttore del Centro per le Destinazioni Sostenibili del National Geographic. “Dovreste vedere quello che fanno alla piazza vecchia di Dubrovnik”. Ma alle orecchie di Alan Goldstein della Royal Caribbean queste  lamentele sembrano snobistiche.
“In certi ambienti c’è un desiderio nostalgico dei tempi in cui relativamente poche persone avevano i mezzi per andare a visitare luoghi come Dubrovnik. Erano piccoli numeri di persone che stavano in piccole strutture ricettive, con nessuna congestione, niente folle, non molte persone. Quella poteva essere veramente una bellissima esperienza per chi era in grado di permettersela,” disse.
“Ma in un mondo in cui molti, molti, molti milioni di persone, decine di milioni, forse centinaia di milioni di persone se consideriamo anche la Cina e altre nazioni, vogliono veramente esplorare il mondo, l’idea di riservare pochi posti per poche persone che girano per le strade con una guida non è realistica.” Ciò significa che i porti devono capire come adattarsi alla congestione di migliaia di passeggeri in arrivo ogni singolo giorno, ha detto Mister Goldstein.  “Noi miriamo a trasportare milioni di persone in modi rispettosi dell’ambiente verso luoghi in cui la congestione è gestibile. Non c’è nessun interesse da parte nostra ad avere una congestione ingestibile.”
Quella che per uno è congestione gestibile, per un altro può essere un incubo. Il signor Tourtellot dissente dal fatto che le compagnie di crociera permetterebbero a milioni di persone di esplorare il mondo. “Hanno appena il tempo di scendere dalla nave e andare a un museo o a una spiaggia prima di ritrovarsi a bordo a parlare inglese con il cameriere al tavolo assegnato per la cena,” ha detto.
La questione fondamentale, comunque, è la pretesa delle compagnie di crociera che le proteste contro le folle che rovinano i siti siano in qualche modo “elitistiche.”  Il signor Tourtellot ha ispezionato spiagge che sono state invase e che hanno poche possibilità di riprendersi. Ha assistito al fenomeno di località vecchie di secoli che oggi sono minacciate dalle visite continue di una “congestione gestita,” fatta di autobus turistici provenienti dalle navi da crociera con un volume d’affari di miliardi di dollari di ari.
“Da quando in qua”, ha chiesto, “è una cosa elitistica mostrare rispetto per una bella piazza o spiaggia e per la gente che ci vive e che vuole proteggerne la bellezza? Tanto più che è proprio quella bellezza ciò che la gente vorrebbe visitare.”

Ecco ora alcuni dati sull’inquinamento (pp. 156, 158-61).
(p. 156) Secondo l’americana Agenzia per la Protezione dell’Ambiente (EPA, Environmental Protection Agency), nel corso di una giornata una nave da crociera produce in media: 80.000 litri di materiale fognario umano, una tonnellata di rifiuti solidi, 680.000 litri di acqua di rifiuto da docce, lavabi e lavanderie, 25.000 litri di acqua oleosa di sentina scaricata dai massicci motori,  10 chili di batterie, luci fluorescenti, rifiuti medici e prodotti chimici scaduti e 8.500 bottiglie di plastica.
….
(p. 158). La Royal Caribbean fu condannata nel 1999 per “associazione per delinquere da parte di tutta la flotta” per aver organizzato il sistema di tubature delle sue navi in modo da evitare l’uso delle apparecchiature di trattamento degli inquinanti e per aver poi fatto dichiarazioni menzognere in merito alla Guardia Costiera. La compagnia ammise la colpevolezza su ventun capi d’accusa  e pagò 18 milioni di dollari in sanzioni pecuniarie in seguito a vari accordi con i tribunali di Miami, Los Angeles, New York, Anchorage,  St. Thomas nelle Isole Vergini e San Juan a Porto Rico.
La compagnia fu sottoposta a un programma di sorveglianza ambientale di cinque anni da parte dei tribunali. La Royal Caribbean negò che si trattasse di una sua politica generale e incolpò alcuni  dipendenti irresponsabili che, a quanto sostenne,  “avevano coscientemente violato la legislazione ambientale e le direttive della nostra Compagnia.” Ma dopo la sentenza del 1999 l’allora ministro della Giustizia Janet Reno dichiarò che “la Royal Caribbean ha usato le acque della nostra nazione come luoghi di discarica proprio mentre pubblicizzava se stessa come azienda ambientalmente ‘verde’.”
Sweeting (James Sweeting, il dirigente della Royal Caribbean incaricato delle questioni ambientali, menzionato in precedenza a p. 157, n.d.t. ), che aveva anche lavorato per la Conservation International,  disse che l’industria delle crociere aveva investito milioni di dollari per risolvere molti di quei problemi, cosa gli ambientalisti stentavano ad ammettere. Disse di essere francamente convinto che la Compagnia non fosse al corrente degli scarichi illegali avvenuti in Alaska e che la Compagnia stessa era rimasta  “profondamente sconvolta da ciò che era venuta a sapere.”
Il governo s’impegnò ulteriormente per controllare l’industria.  Nel 2003 la Carnival Corporation si dichiarò colpevole di aver scaricato illegalmente dalle sue navi dell’olio di sentina, pagò 9 milioni di multa e s’impegnò a investirne altri 9 in progetti di protezione dell’ambiente.
Gli ambientalisti cercarono di ottenere nuove leggi nel Congresso e nei singoli stati al fine di condizionare strettamente lo scarico dei rifiuti delle navi  e di monitorarlo regolarmente. L’industria delle navi da crociera reagiva sostenendo di applicare dei miglioramenti volontari nel sistema di eliminazione dei rifiuti.
Lo scontro tra queste posizioni divenne manifesto in Alaska, una delle destinazioni più antiche e popolari. I gruppi di attivisti si dichiararono stanchi del continuo ingrandirsi delle navi, delle folle rumorose che riempivano i loro porti, dell’inquinamento, degli scarichi e della parte sempre più scarsa di ricavi che ne venivano allo stato.
Dopo la condanna della Royal Caribbean un gruppo  di abitanti cercò di spingere il governo dello stato a riconoscere le compagnie di crociera come responsabili dei danni che causavano.  Juneau, capitale dell’Alaska,  impose una  tassa di 5 dollari per passeggero per i costi delle pulizie necessarie dopo il loro soggiorno. Nel 2000 il governatore Tony Knowles creò una commissione statale per sorvegliare i rifiuti prodotti dalle navi da crociera durante la stagione estiva. Uno dei membri della commissione era Gershon Cohen, scienziato e ambientalista che vive nella cittadina portuale di Haines, che ha posto un limite al numero di navi che possono entrare. Secondo quanto riferisce Cohen, la commissione esaminò i rifiuti delle navi da crociera alla ricerca di materiale pericoloso. Ma trovarono qualcos’altro: materiale fognario di origine umana non trattato. “Ne restammo dannatamente scioccati,” disse. “Scoprimmo che le navi da crociera erano dei produttori galleggianti di feci.”
Quel materiale grezzo proveniva da “attrezzature sanitarie inadeguate”, che erano state disegnate per trattare i rifiuti di qualche dozzina di persone ma erano poi state istallate su navi che ne contenevano migliaia. Colin ha riportato che i campioni esaminati per la presenza di batteri fecali coliformi avevano mostrato valori incredibili: “In una nave si contarono nove milioni di batteri fecali coliformi per campione. In un’altra quattordici milioni, in una terza ventiquattro milioni. Per essere sani quei campioni dovrebbero contenerne un numero inferiore a 200.”
Quell’inquinamento da  materiale fognario umano costituiva una minaccia per la vita marina, i pesci, le barriere coralline, le coltivazioni di ostriche e i mammiferi marini. Poiché l’economia dell’Alaska dipende fortemente dalla pesca, dal diporto e da altre forme di turismo su terra, quei risultati furono giudicati allarmanti dai dirigenti dello stato. I legislatori dell’Alaska approvarono delle leggi che imponevano controlli regolari sulla qualità dell’acqua e dell’aria e ne finanziavano la spesa con una tassa di 1 dollaro per ogni passeggero.
Nel parlamento nazionale il senatore Frank Murkowski, repubblicano dell’Alaska, riuscì a far approvare una legge che permetteva all’Alaska di fissare criteri e regole sui rifiuti di “acque nere” che contengono materiale fecale umano. Nessun altro stato aveva quelle leggi.
L’industria delle crociere reagì di nuovo e convinse il senatore Murkowski a far approvare dal ministro degli Interni una disposizione che raddoppiava il numero delle navi da crociera ammesse al Glacier Bay National Park durante il picco della stagione estiva, malgrado le forti obiezioni dei dirigenti del Parco.
Poi Gershon Cohen e un avvocato dell’Alaska riuscirono a far ammettere un referendum, che fu incluso nelle elezioni del 2006, per cui le navi da crociera erano obbligate a chiedere permessi ufficiali per l’eliminazione dei rifiuti, con limiti stretti per quanto riguardava il materiale fognario. Tale regola creava anche un corpo d’ingegneri marini, dei rangers oceanici, che viaggiavano sulle navi da crociera per controllare i rifiuti ed erano finanziati da una nuova tassa di 50 dollari per passeggero. Malgrado le previsioni negative, il referendum fu approvato. Alcune disposizioni vennero poi alleggerite dal nuovo governatore Sean Parnell, che dimezzò l’importo della tassa sui passeggeri per far ritirare un’azione legale intrapresa dalla Carnival e dalla Royal Caribbean.

Back To Top