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(Immagine di Davide Busato). Riportiamo alcuni articoli dalla Nuova Venezia di domenica 31 luglio che riguardano gli interventi in corso in laguna per la manutenzione delle barene nell’ambito del progetto Life Vimine finanziato in gran parte dall’Unione Europea con 2 milioni di Euro. Si tratta di un progetto apparentemente modesto ma rispettoso delle caratteristiche della laguna nella consapevolezza della necessità di mantenere quell’equilibrio tra acqua e terra che è il presupposto della salvaguardia di Venezia.
Una giornata con gli operatori di Life Vimine e dell’Università di Padova
che conservano la laguna con metodi naturali e integrati usati da secoli
che conservano la laguna con metodi naturali e integrati usati da secoli
Pescatori e ingegneri contro l’erosione
di Carlo Mion
BURANO Il lavoro inizia quando il sole non è ancora salito all’orizzonte. Lavorare in barena a spalare fango è massacrante quando fa caldo. Anche per gente abituata alla fatica come i pescatori di Burano. Gente a cui non viene regalato nulla e abituata a faticare in laguna, luogo splendido ma difficile. Spalano fango e lo sistemano sulle sponde delle barene che le correnti, il traffico di imbarcazioni e il vento contribuiscono a far sparire. Lavorano infatti al progetto Life Vimine, coordinato dalla facoltà di ingegneria ambientale dell’Università di Padova e finanziato dall’Unione Europea. È un lavoro che riporta indietro negli anni, nei secoli e che la laguna accoglie benevola in quanto a “basso impatto ambientale”. Per proteggere le barene che si sgretolano e si dissolvono nei “ghebi” e nei canali usano fascine di rami, pali in legno e cordame riciclato. Un lavoro da artigiani del recupero che costringe all’impiego di pochi attrezzi e solo, in alcuni casi, di macchine come le motopompe per riempire di fango le aree ricostruite. Il lavoro di questi uomini e donne ricorda quello dei mosaicisti che intervengono dove le piccole tessere si sgretolano o si staccano. È un lavoro manuale che il gruppo che lo coordina ha voluto portare avanti coinvolgendo chi la laguna la vive. Un processo di recupero “integrato” che parte dal basso con due vantaggi: i materiali sono a chilometro zero e si fa lavorare anche chi trova il suo pane in laguna ma non tutto l’anno. Ogni giorno, mediamente nel grande cantiere della laguna lavorano una decina di persone. Con il caldo godono dello spettacolo che ogni sorgere del sole regala con uccelli in partenza e in arrivo dai loro nidi e in questa stagione lo spettacolo è arricchito dal fatto che i genitori di varie specie portano a spasso i piccoli e insegnano loro come cavarsela tra “ghebi” e barene. Spesso in cielo si consumano battaglie tra falchetti e altre specie che difendono territorio e prole, I più agguerriti contro i predatori sono i cavalieri d’Italia che in gruppo fanno battere in ritirata i signori del cielo. I cigni accompagnano lungo i canali gli artigiani delle barene mentre la volpoca va a spasso con i cuccioli. In questo angolo di serenità, sconquassato a volte da veloci e irrispettosi motoscafi e da lancioni granturismo, si calano in acqua pescatori e tecnici e il lavoro inizia senza sosta per ore e ore. Lo staff del progetto vede impegnati mediamente ogni giorno otto persone. Lo staff di biologi e ricercatori che da quattro anni è sul campo è composto da Dario Smania, Alberto Zangaglia, Laura Grechi, lavorano con loro i pescatori Stefano Costantini e Bruno Mellara. Scelto un tratto di barena che si sta sgretolando vengono piantati in acqua dei pali lungo la “ferita”. Questi servono a trattenere le fascine che poi saranno sistemate verso l’interno della barena. A questo punto la ferita è chiusa. Lo spazio che si era creato viene riempito di fango. Materiale che con il badile viene scavato nei “ghebi” e poi scaricato sulla barena fino a riempire i vuoti. In certi punti, dove l’intervento è più esteso viene usata una pompa a motore che scarica fango sulla terra emersa in quantità maggiori. Dopo l’intervento quando il fango si consolida, i tecnici dello staff passano a controllare e a valutare il risultato. Tutto deve rispondere dei parametri stabiliti per considerare il lavoro riuscito. Sempre dove l’intervento è stato più consistente per aiutare la flora della barena ad occupare il tratto ricostruito, vengono piantate le zolle recuperate, dove sono franate, nei “ghebi”. Il materiale impiegato segue la filosofia del riciclo e del chilometro zero. Infatti le fascine sono composte dalle ramaglie provenienti dalla pulizie delle aree veri della città e dal conferimento anche viene fatto a Vesta. Anche per i pali si segue la stessa filosofia, mentre i cordami per legare le fascine vengono realizzati utilizzando le corde di scarto di Actv, dopo averle private della parte in nylon. Per essere ancora più a chilometro zero il progetto prevede anche la gestione dell’”Isola del lago”, a ridosso di Burano dove in mezzo a quello che resta degli orti sono stati piantumati alberi che in futuro forniranno pali e fascine per LifeVimine.
La Nuova Venezia 31/07/2016
Due milioni di euro dall’Unione Europea e dagli otto partner per l’intervento sulle barene sono in scadenza nel 2017
Un progetto a rischio se l’anno prossimo non sarà rifinanziato
di Gianni Favarato
VENEZIA Nell’ottobre dell’anno scorso, tre mesi dopo gli arresti per la Tangentopoli del Mose, agli ispettori dell’Unesco venuti a Venezia per verificare se ha ancora i numeri per essere considerata «Patrimonio dell’Umanità», è stato mostrato con orgoglio un piccolo progetto di ripristino ambientale della Laguna – la più grande d’Italia con i suoi 550 km quadrati di estensione – del tutto alternativo a quelli realizzati dal Consorzio Venezia Nuova, che pochi, tranne gli addetti, conoscono. Si tratta del progetto europeo Life Vimine per contrastare l’erosione della laguna con interventi sostenibili, naturali e tradizionali per un ecosistema complesso e fragile come la Laguna. Un progetto che sta dando ottimi risultati ma rischia di essere stato inutile se l’anno prossimo, quando scadrà, non verrà rinnovato. Nell’ultimo secolo la superficie della laguna coperta dalle barene periodicamente sommersi dalle maree si è ridotta di oltre due terzi a causa del naturale processo di erosione dovuto alle onde prodotte dal vento e dalla deviazione dei fiumi voluta Serenissima, a cui si è aggiunta la costruzione della zona industriale di Porto Marghera, la crescita del traffico di navi passeggeri e mercantili di sempre più grossa stazza che generano onde e lo scavo dei canali. Le barene – insieme a velme, isolette e canali che caratterizzano i bassifondi lagunari – sono importantissime perché favoriscono il ricambio idrico, limitano l’impatto delle maree sul livello dell’acqua, moderano l’azione del moto ondoso e ospitano una ricca flora e fauna acquatica e aerea. «Senza barene si mette a serio rischio l’intero ecosistema lagunare – dicono da anni gli esperti – se non si interviene con tecniche naturali che durano nel tempo, Venezia e tutte le isole circostanti sarebbero in balia delle correnti e il resto della laguna verrebbe spazzato dalle marre come una qualsiasi spiaggia». A ricostituire le barene scomparse, utilizzando il riporto di fanghi bonificati e depurati, provenienti dall’escavo dei canali e con la direzione dei lavori dell’estinto Magistrato alle Acque, ci sta pensando da anni il concessionario unico (Consorzio Venezia Nuova) che ora è in attesa del via libera della Salvaguardia per un nuovo progetto davanti all’ isola di Murano, già contestato dalle associazione ambientaliste che imputano al Consorzio «di aver costruito barene gigantesche e innaturali dove non esistevano e avere distrutto quelle che invece esistevano». Ma c’è un nuovo e allo stesso tempo antico modo di o ripristinare le barene, un approccio “integrato” alla gestione del territorio, basato sulla protezione dall’erosione delle barene e paludi più interne della Laguna “attraverso” piccoli interventi di ingegneria naturalistica che coinvolge le comunità locali di pescatori, a basso impatto ambientale e con un costante lavoro di monitoraggio e manutenzione. Si tratta di uno dei progetto Life Vimine, finanziati in gran parte dall’Unione Europa, come il progetto “Ghost” che ha permesso di ripulire le Tegnue a largo di Chioggia dalle reti abbandonate e come il progetto “ SeResto” (realizzato dall’università di Ca’ Foscari e Ispra) per il ripristino delle praterie di piante acquatiche come le fanerogame. Il progetto Life Vimine per il ripristino naturale delle barene si sta sperimentando nella Laguna nord, nel comprensorio delle isole di Burano, Mazzorbo, Torcello e della Palude dei Laghi è iniziato nel 2013 e si concluderà nel settembre del 2017 con un budget totale di 2 milioni euro dei quali 1.396.000 di contributo europeo e il resto investito dagli otto partner: il Dipartimento di ingegneria industriale di Padova coordinato da Luca Palmeri e dal gruppo di ricerca Lasa, il Comune di Venezia, il Provveditorato alle Acque, il Consorzio di Bonifica Acque Risorgive, Seles -società copperativa, Agenda 21 Consulting srl, AttivaMente Cooperativa sociale Onlus e il Foundation for Sustainable Development (Olanda).
La Nuova Venezia 31/07/2016
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