La presidente nazionale di Italia Nostra, Antonella Caroli, il Consiglio Direttivo Nazionale, il presidente del…
(Immagine dalla Nuova Venezia: l’ubicazionne del porto San Leonardo). Continua l’odissea delle navi da crociera in cerca ostinata di un luogo in cui approdare a Venezia contro tutte le evidenze e contro tutte le convenienze. Dopo che l’Istituto di Architettura, attraverso il suo ex rettore Carlo Magnani, aveva ieri presentato con grande pubblicità la sua “classifica” dei loghi candidati a terminal crocieristico, assegnando la palma del primato al progetto di San Leonardo da noi descritto in un post di ieri, ecco che i lavoratori della biochimica proprio di San Leonardo insorgono e rifiutano: portare le grandi navi dalle loro parti rischia di minacciare l’esistenza delle nuove “bioraffinerie”, faticosamente introdotte a sostituire almeno in parte la perdita dei posti di lavoro delle raffinerie tradizionali. Trovate qui sotto l’articolo della Nuova Venezia che riferisce le loro ragioni.
Intanto L’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, uno dei pochi organismi italiani veramente efficienti e utili) si pronuncia contro due altre ipotesi, quelle di portare le navi a porto Marghera (si veda il post relativo). Per le povere navi non rimane che l’avamporto del Cavallino, o nella forma Duferco-De Piccoli (apprendiamo proprio oggi che avrebbe avuto l’approvazione della Valutazione d’impatto ambientale) o nella forma Boato-Vittadini-Giacometti, ancora meno impattante. Ma queste due ipotesi sono calorosamente respinte sia dal presidente del porto Paolo Costa (troppo onerosi i trasporti di merci e passeggeri fino alle navi) sia dagli abitanti e operatori balneari del Cavallino.
Insomma, per avere le grandi navi qualcuno deve soffrire anche molto. E noi ri-proponiamo la domanda che ripetiamo da alcuni anni: ma quale forza umana o divina obbliga Venezia a sopportare tali violenze? Non abbiamo già anche troppi turisti? Sono domande che si perdono nel deserto. Sembra che senza navi Venezia non ci possa stare; dovremo dunque farci da parte con i nostri monumenti e il nostro tenore di vita da preservare per fare posto anche a loro, portatori di chissà quali presunti vantaggi economici.