Ci auguriamo che anche il 2024 sia un anno di iniziative e di attività propositive…
E’ con piacere che condividiamo alcune osservazioni che il consigliere Stefano Boato ha inviato, a titolo personale collaborando con altre Associazioni, al Comune di Venezia in merito al suo recente Piano degli Interventi.
Con un avviso pubblico, il Sindaco aveva infatti invitato tutti i cittadini, gli operatori economici e sociali, i professionisti, i portatori di interessi, gli investitori nazionali ed internazionali a presentare entro il 30 giugno 2017 idee, proposte e progetti per la definizione del nuovo Piano.
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RIVEDERE L’IMPOSTAZIONE METODOLOGICA
Il Piano degli Interventi (P.I.) deve essere innanzitutto un piano della volontà amministrativa pubblica di intervenire per riqualificare la città: la legge urbanistica regionale, al primo comma dell’articolo sul P.I. (art. 17, L.R. n.11/2004), prescrive che “il P.I. si rapporta con il bilancio pluriennale comunale, con il programma triennale delle opere pubbliche e con gli altri strumenti comunali settoriali”. Nel secondo comma prescrive in particolare che “in coerenza e attuazione del Piano di Assetto del Territorio (PAT) provvede a … definire e localizzare le opere e i servizi pubblici e di interesse pubblico nonché quelle relative a reti e servizi di comunicazione”.
Invece, il Documento del Sindaco per il Piano degli Interventi (del giugno 2016) non contiene alcuna scelta specifica rapportabile ai contenuti programmatori per il quinquennio di validità del Piano Interventi. Viene teorizzata la città verticale senza un approfondimento che permetta di verificare i limiti e la corretta fattibilità di tale scelta: ad es. cosa si fa a Mestre dell’ex Umberto I?
Manca del tutto una vera programmazione: ci sono oggi quattromila alloggi invenduti mentre i documenti di analisi alla base del PAT risalgono al 2009. La crisi economica ha generato migliaia di appartamenti invenduti in tutta la regione: occorre dunque prima di tutto bloccare l’espansione urbana sulle aree ancor oggi agricole (consumo di suolo zero), incentivare chi investe a Porto Marghera, eliminare ogni monetizzazione e realizzare invece gli standard per la qualità urbana (verde, parcheggi, attrezzature, servizi); ridurre in generale gli indici di cubatura e tagliare le ultime previsioni ormai anacronistiche (case e uffici per altri 50 mila abitanti in una città in decrescita!).
Il Bando del novembre 2016 invitava tutti i cittadini a proporre idee, proposte e progetti per la città e impegnava l’Amministrazione a dare priorità alle proposte di rilevante interesse pubblico.
Invece, in tutti gli interventi nelle assemblee pubbliche, l’Assessore all’Urbanistica ha sempre promesso priorità assoluta agli interventi dei privati in grado di investire, assicurando che saranno comunque favoriti sino a concedere loro specifiche e puntuali varianti urbanistiche singole a legittimazione dell’intervento (a prescindere dal significato complessivo del piano urbanistico della città). Si sta proponendo una logica di investimento puramente espansiva, di cortissimo respiro, e non di riqualificazione del patrimonio urbanistico attuale.
A confermare operativamente questa linea “immobiliarista” l’Amministrazione invia ai presentatori di proposte un questionario informativo da compilare che contempla la possibilità di ogni funzione chiedendo quale sia il valore complessivo stimato dell’investimento (i.v.a. esclusa!) per la valorizzazione di aree o edifici “per poter effettuare una valutazione preliminare della pluralità degli interessi in campo”.
Questa linea amministrativa e urbanistica punta dunque essenzialmente a costruire il Piano degli Interventi come una sommatoria di singoli interventi che porti per ciascuno al massimo valore economico possibile e alla massima possibilità di incamerare denaro dalle varianti urbanistiche, per ottenere il massimo cosiddetto BENEFICIO pubblico, e degli altri oneri connessi all’attività edilizia, in sintesi per “FARE CASSA” nell’immediato, senza badare ai costi futuri che questa dissennata urbanistica riverserà sulle prossime generazioni. Questa logica di azione implica maggiori costi sociali futuri per la collettività, costi aggiuntivi anche monetari che preparano debiti futuri.
Si chiede invece che il Piano degli Interventi venga elaborato per ottenere il massimo INTERESSE pubblico, cioè avendo come obiettivi principali:
la qualità urbanistica, morfologica e paesaggistica complessiva dei luoghi;
la rimozione delle criticità urbane;
un sistema connesso e integrato delle attrezzature e dei servizi pubblici;
la funzionalità delle aree e degli edifici in rapporto alla vivibilità dei luoghi;
l’integrazione sociale che elimini o almeno riduca le emarginazioni e ghettizzazioni;
una nuova offerta diffusa di rigenerazione di edilizia sociale in un mix sociale e funzionale che vivifichi comunità e luoghi;
un sistema di mobilità collettiva efficiente con reti ciclabili capillari e percorsi/spazi pedonali privilegiati e attrattivi.
Un aspetto da affrontare – anche nel Piano degli Interventi – è la definizione di interesse pubblico e quando tale concetto può essere applicato negli interventi urbanistico-edilizi, dal momento che troppo spesso il Comune applica l’art 14 del DPR 380/2001 (permesso di costruire in deroga).
Non esiste una puntuale definizione legislativa della nozione di interesse pubblico; si deve, perciò, fare riferimento alle varie interpretazioni amministrative e giuridiche che, sostanzialmente, individuano la sua essenza nei benefici alla Collettività derivanti dall’azione di specifici interventi.
Per i compiti istituzionali perseguiti dall’Amministrazione comunale, la valutazione dell’interesse pubblico dovrebbe, perciò, essere ponderata sulle specificità dei singoli interventi, esulando, in ogni caso, da considerazioni meramente economico-finanziarie.
Senza una precisa definizione del concetto di interesse pubblico, o perlomeno di un campo che ne definisca i suoi confini, il termine viene usato e abusato in modo discrezionale e secondo le convenienze del momento per legittimare o meno determinati progetti. Tanto è vero che, anche recentemente, l’Amministrazione Comunale ha considerato di interesse pubblico l’insediamento di nuove strutture ricettive nel centro storico di Venezia, quando invece è ben noto come, negli ultimi anni, si sia moltiplicato il numero di queste strutture, a scapito non solo della residenzialità, ma anche delle numerose altre attività e funzioni presenti in città, che vengono continuamente espulse.
L’amministrazione pubblica che dovrebbe tutelare e perseguire l’interesse generale si muove spesso in modo contrapposto, mentre dovrebbe promuovere maggiori occasioni di confronto attraverso sistemi di partecipazione e di condivisione per valutare le diverse posizioni e conflitti presenti sul campo. Si propone dunque che:
l’”interesse pubblico” sia riconosciuto, in primo luogo, per interventi volti alla tutela e salvaguardia dei valori ambientali e paesaggistici dei luoghi, allo sviluppo compatibile e sostenibile del territorio, in modo da coincidere con i benefici che possono derivare alla Collettività mediante la concreta soddisfazione delle esigenze sociali, economiche e culturali, in una logica di ponderazione e contemperamento calibrato sulle specificità del caso, esulando da considerazioni meramente economico-finanziarie (in conformità alla sentenza del Consiglio di
Stato, Sez. IV, 5 giugno 2015, n. 2761).
Un altro aspetto riguarda invece il “beneficio pubblico” che dovrebbe essere garantito al Comune in cambio del valore aggiunto derivante dall’azione amministrativa di pianificazione del territorio e che dovrebbe essere determinato applicando i criteri definiti nella delibera del Commissario Straordinario con i poteri del Consiglio Comunale n. 34 del 20 marzo 2015.
In altre parole, la pianificazione territoriale ed urbanistica non può essere ridotta e assoggettata a questioni meramente economico-finanziarie.
Venezia, 30 giugno 2017
Stefano Boato – Giorgio De Vettor – Carlo Giacomini – Giampietro Pizzo – Marco Zanetti
Associazioni ECOISTITUTO DEL VENETO – VENEZIA CAMBIA