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Venezia, 7 ottobre 2017

Non vorremmo essere nei panni dei tecnici della Soprintendenza veneziana. Un bel dilemma, presumiamo, li attanaglierà in questi giorni. Rifiutare alle Assicurazioni Generali una terrazza “mozzafiato” in Piazza, come sarebbe ovvio in un paese che tuteli le eredità culturali, o accondiscendere alla nuova moda della contaminazione, per cui un monumento conservatosi per secoli diventa ora opera di un architetto contemporaneo in cerca di eternità a scapito della storia? La stampa titola: «manca ancora il visto della Soprintendenza», come se fosse dovuto e si trattasse solo di tempo. Da Ponte in Così fan tutte (e come Italia Nostra ha spesso sperimentato) sentenzia: «l’accozzarla co’ grandi fu pericolo ognora», contrastare i potenti, anche se con ottimi argomenti, è assai pericoloso!

Ma la terrazza – dicono le Generali – è fondamentale per il loro progetto! E qual è il progetto?

Ricordiamoci che, pur mantenendo qualche ufficio in Laguna, le Assicurazioni si trasferirono a Mogliano in anni in cui il turismo era ancora contenuto e c’era bisogno di uffici e attività per mantenere in vita Venezia, e tornano ora con l’aureola dei santi, avendo trasformato la sede storica in un luogo di rappresentanza. Quel che ci mancava. Hanno in cantiere un progetto filantropico sui rifugiati e per quel progetto è necessarissima la terrazza. Solo per eventi interni, dicono. Ma quale enorme valore aggiunto regaleremmo alle Generali con la terrazzona sulla Piazza! Privando nel contempo la cittadinanza del diritto sacrosanto di veder tutelato il suo patrimonio culturale.

Ma non solo: come spiegava Paola Somma nel suo articolo su eddyburg.it, le Generali intendono valorizzare ancor più le loro proprietà collegandole con un percorso diretto ai Giardinetti Reali attraverso le Procuratie Nuove e il ponte levatoio da restaurarsi. Il progetto del percorso è oggi ancor più chiaro, nella stampa locale. E a noi vengono in mente le alterazioni nella Punta della Dogana, ove a una struttura ideata a setti si è sovrimposto un percorso circolare per favorire la fruizione delle esposizioni, cancellando percorsi originali e dunque la storia.

Del resto, perché mai negare alle Generali la loro sacrosanta terrazza? C’è il precedente del Fontego! Anche lì un archistar ha piazzato sopra il coronamento di merlature in pietra d’Istria, che sigillava concludendo la sommità dell’edificio, una terrazzona-mega-mega, con balaustrata in ottone.

Così le merlature candide del Fontego sono ora incongruamente viste da dietro, fotografate a rovescio da ignari turisti e locali che gridano al panorama mozzafiato (un bel paradosso, se pensiamo che a Venezia per mozzare il fiato basterebbe l’inquinamento, come ci insegnano i rilevamenti dell’associazione tedesca Nabu). Al coronamento gotico in pietra si è sostituito il coronamento contemporaneo – dicendola alla Fantozzi – in teste umane, con relativo immancabile sfavillio di flash nelle ore tarde (in inverno è una piacevole luminaria che comincia alle 16).

Salvatore Settis paragonò la terrazza panoramica del Fontego a «una mega-nave piombata nel cuore di Venezia». È lo stesso modo di fruire la città che si vorrebbe dovunque, anche in Piazza. Con l’emergere di nuove economie lontane, il tempo delle singole tappe di un Grand Tour da selfie è sempre più breve: meglio vedere Venezia dall’alto, nella foto ci starà tutta e domani Parigi.

La terrazzona anche in Piazza San Marco (con balaustrata di ottone? o Chipperfield predilige il cemento?) sarà collocata anch’essa sopra e dietro ad analogo coronamento in pietra d’Istria, realizzato nel 1517 da Guglielmo de Grigis detto il Bergamasco (come attesta l’archivio dei Procuratori di San Marco de Supra)? A colui che firmerà tale autorizzazione tremerà forse un poco la mano?

Nell’apoteosi di salvifici interventi dei privati sul patrimonio di tutti (indipendentemente dagli assetti proprietari la storia è della collettività) abbiamo dimenticato cosa vuol dire essere dei veri mecenati e non dei mecenati di sé stessi. Ci viene in mente con invidia, nella nostra povera quotidianità di abitanti sopravvissuti, quel che ha fatto David Packard a Ercolano o Yuzo Yagi alla Piramide Cestia. Nessun ritorno d’immagine: Packard non vuole nemmeno una minima visibilità. E qui regaliamo la Piazza.

Ma negare la terrazzona potrebbe irritare le Generali, le autorità, l’intellighenzia conformista prostrata davanti agli architetti di grido per paura di non essere cool. E del resto, si sa, Venezia non è più una città, non è più per i suoi abitanti, che si spera se ne vadano tutti, ma un brand, e San Marco è diventato «San Marchio», com’ebbe a dire pubblicamente una autorità durante la festa del 25 aprile, con un significativo lapsus.

 

Lidia Fersuoch
presidente della sezione di Venezia di Italia Nostra

Questo articolo ha un commento

  1. Condivido i timori esplicitati dall’articolo di Lidia F.,in particolare sui progetti dell’archistar e Generali. Nell’articolo di qualche giorno or sono apparso nel Corriere della sera -corriere del veneto, dedicato al progetto di restauro delle Procuratie vecchie promosso dalle Assicurazioni generali ,veniva ben poco ricordato che le Procuratie sono state fino agli anni ’70 del Novecento un luogo vissuto dai residenti poichè erano sede degli uffici della compagnia e quindi un luogo di lavoro per gli abitanti della città……Nel luogo di rappresentanza della Compagnia sono sbandierati il progetto di architetti di grido,future mostre di carattere umanitario,destinazioni d’uso non proprio vicine ai bisogni della città…..Magari fossero rispettose della città stessa e dei suoi abitanti…..

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