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Anche le Procuratie come il Fontego.
Poco alla volta i monumenti più importanti di Venezia vengono “riscritti” dall’archistar di turno con velleità di immortalità e piegati a ben altre esigenze che quelle compatibili con la preservazione, e con le scuse più varie e risibili, ma a un unico fine che ai più lucidi o smagati veneziani appare chiarissimo.
Avremmo invece bisogno dell’ “architetto invisibile”, ormai in estinzione.

Articolo di Paola Somma

Emergenza cultura

Il recente speronamento da parte di una grande nave della Costa Crociere di una più piccola nave/albergo, ormeggiata nel canale della Giudecca, ha distolto l’attenzione da altri eventi – non meno importanti per le sorti di Venezia, anche se ormai considerati normali- come l’ennesima autorizzazione per un albergo di 500 camere e la cessione a privati investitori del diritto di trasformare a proprio vantaggio intere parti della città.

E’ così rimasta inosservata la fortuita, ma significativa coincidenza per cui, negli stessi giorni in cui il prefetto Vittorio Zappalorto negava ai cittadini il permesso di manifestare in piazza San Marco contro le grandi navi, è stato diffuso l’annuncio che il gruppo Generali ha “finalmente” ottenuto il permesso di costruire e potrà procedere alla ristrutturazione delle Procuratie Vecchie, la costruzione che si sviluppa lungo l’intero lato nord della  piazza, per un’estensione di oltre 150 metri.

Progettate e realizzate sotto la guida di Bartolomeo Bon e Jacopo Sansovino, nell’ambito del progetto di renovatio urbis del doge Andrea Gritti, le Procuratie, così denominate perché erano la sede dei Procuratori di san Marco,  sono uno degli edifici più rappresentativi della storia della Serenissima.

La società delle assicurazioni Generali ne ha acquistato una parte nel 1832 e vi ha tenuto i propri uffici fino al 1989, quando ha trasferito la direzione e la maggior parte delle attività a Mogliano Veneto. Il contestuale piano di valorizzazione immobiliare – fra le varie ipotesi c’era anche quella di ricavarne degli appartamenti di lusso con vista sulla piazza- ha subito ritardi perché all’epoca alcuni spazi dell’edificio erano occupati da uffici pubblici, la Procura della Repubblica e il giudice di pace, e pertanto sottoposti dal piano regolatore a vincolo di “uso pubblico”. Nel 2010, in seguito alla sciagurata politica di allontanamento degli uffici pubblici dai centri cittadini, funzionale alla svendita e privatizzazione degli edifici di maggior pregio, la Procura è stata spostata. Le Generali hanno allora reclamato il diritto di usare la proprietà, che consiste in circa l’85% dell’intero complesso, “come meglio loro pare”, sostenendo che il vincolo di destinazione a uso pubblico non aveva più ragion d’essere.

Ne è quindi sorto un contenzioso, di cui l’odierno permesso a costruire, che segue l’approvazione del progetto da parte della sopraintendenza nel gennaio del 2019, è l’ultimo atto di una vicenda che sancisce il trionfo di Generali e durante la quale il comune si è sempre più asservito alle pretese dei privati.

Già nel 2014, infatti, il sindaco Giorgio Orsoni era disposto a togliere il vincolo di destinazione d’uso al compendio, fatta eccezione per circa 3000 metri quadri con affaccio sulla piazza, che sarebbero dovuti rimanere per trent’anni nella disponibilità del comune, se le Generali avessero versato “qualche” milione di euro, ma l’offerta venne giudicata non abbastanza vantaggiosa dalle Generali che, ben coscienti che “questa proprietà è una cosa unica al mondo…. ha un valore inestimabile”, non solo hanno saggiamente aspettato ma, con fine senso dell’umorismo, hanno occupato la piazza con una installazione, un grande paio di occhiali che “sono la metafora dell’invito a guardare il presente e il futuro con ottimismo, perché vedere la vita con positività è il primo passo per migliorarla”.  E possono rallegrarsi di aver visto bene. Poco dopo, infatti, è arrivato  il momento opportuno con la rimozione di Orsoni – coinvolto nella inchiesta relativa al Mose- e la nomina di un commissario straordinario, lo stesso Zappalorto che oggi è prefetto di Venezia, il quale, con il pretesto di dover trovare i fondi per rispettare il patto di stabilità del 2014, ha firmato un accordo bonario che riduce da 3000 a 640 metri quadrati la parte lasciata in comodato al comune per vent’anni, mentre la compagnia verserà “tre milioni una tantum per la valorizzazione immobiliare nel frattempo avvenuta dell’area delle Procuratie .”

L’accordo prevede che la parte già adibita a uffici e attività commerciali non subisca cambi di destinazione, mentre nella parte del complesso attualmente libera, le Generali potranno destinare “il 70% degli spazi per scopi di interesse generale a carattere culturale, scientifico, di alta formazione, di tutela della salute e dell’ambiente, di sostegno sociale o per la promozione dell’immagine della città di Venezia. Il restante 30% potrà essere destinato ad uso privato come uffici o attività compatibili con la vocazione storico-artistica dell’edificio e con la sua ubicazione nell’area marciana”.

Zappalorto ha definito l’accordo “un evento di importanza straordinaria per la città, che vede il leone delle Generali tornare a san Marco con un progetto di rilancio della loro presenza a Venezia in un contesto architettonico dove tornerà pulsare l’eccellenza di un grande gruppo che arricchirà ulteriormente il prestigio e il valore di tutta l’area marciana”.

Se Zappalorto si è dimenticato di dire che tale “prestigio e valore” verranno incamerati dalle Generali, le dichiarazioni dell’attuale sindaco, Luigi Brugnaro, chiariscono come alcuni rappresentanti delle pubbliche istituzioni interpretino il loro ruolo. Annunciando con orgoglio l’approvazione del progetto, infatti, Brugnaro  si è rivolto “agli imprenditori e alle fondazioni” per  ricordare loro che “aprire una sede internazionale a Venezia garantisce un ritorno economico e d’immagine gigantesco e noi come amministrazione siamo a disposizione”.

L’autore del progetto oggi approvato è Sir David Chipperfield, un architetto britannico sbarcato in laguna 20 anni fa, quando ha vinto il concorso indetto dal comune per l’ampliamento del cimitero di san Michele su terra ricavata utilizzando i fanghi derivanti dagli scavi in Laguna (pratica vietata dalla Legge Speciale).

Da allora la sua presenza a Venezia, dove la firma di una archistar garantisce l’approvazione di qualsiasi progetto, si è consolidata con l’incarico di direttore della Biennale Architettura nel 2012. Pur soddisfatto di lavorare in Italia, che definisce la “culla spirituale dell’architettura (ha anche aperto una filiale del suo studio a Milano) Chipperfield si lamenta dei tempi lunghi della burocrazia, che rallentano la realizzazione dei suoi progetti, ed ha dichiarato che “in Italia non è facile per un architetto progettare in edifici storici”. Forse non è facile, ma purtroppo non abbastanza difficile, visto quello che si appresta a realizzare. Sebbene non sia riuscito a far approvare l’idea di trasformare il tetto delle Procuratie in una grande terrazza/altana – inutile è stata l’invocazione del precedente del Fontego dei Tedeschi dove il colpo era riuscito a Rem  Koolhaas (il direttore della Biennale Architettura del 2014) – da quello che si evince dai rendering è chiaro che le Procuratie saranno oggetto di rimaneggiamenti sostanziali, come l’inserimento di nuovi corpi scala per garantire l’accesso alle cosiddette “corti in quota” e la ristrutturazione dell’intero terzo piano, dove verranno creati spazi per esposizione e un auditorium.

Nel 2017, la notizia che Chipperfield era stato incaricato di rivitalizzare le Procuratie in modo “compatibile e in perfetta sintonia con la città di Venezia e con la monumentalità del posto”, era stata salutata con unanime entusiasmo dalla stampa che aveva definito il progetto: restauro, rinnovo, riconfigurazione, riparazione, e perfino “rianimazione” delle Procuratie che “con il tempo hanno smesso di essere vive”, ma non erano mancate perplessità di chi osservava che il comune “ha rinunciato all’uso pubblico lasciando la titolarità alle Generali di uno dei beni simbolo della città”.

In realtà, il comune ha rinunciato non solo alle Procuratie, ma all’intera area marciana assecondando il piano di Generali, il cui amministratore delegato Philippe Donnet ha bene chiarito che l’intervento non solo “porterà al suo originario splendore uno dei luoghi più belli di Venezia, ma è parte di un più ampio progetto per l’intera area marciana che abbiamo promosso con orgoglio e passione”.  Non è dato sapere a quale titolo abbiano promosso tale progetto, né se nel frattempo abbiano fatto accatastare piazza San Marco a loro nome. Comunque il piano procede con il completamento del rinnovo dei Giardini Reali, che il commissario  Zappalorto – sempre lui- ha dato in concessione, senza nemmeno indire una gara, a Venice Gardens Foundations, di cui Generali è unico sponsor, e che di fatto diventeranno una loro dependance per  eventi con affaccio sul bacino di San Marco.

Una sorte che perfettamente si intona con il processo di ri-feudalizzazione della società e della città, in cui compito e vanto dell’amministrazione comunale è provvedere alla  recinzione degli squares e alla consegna delle chiavi ai proprietari che vi si affacciano.

 

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